Cormac McCarthy – La strada

Cormac McCarthy – La Strada
Einaudi, 2010

Un padre e un figlio lungo una strada, verso il mare lontano dietro monti da valicare, forse alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, di un briciolo di speranza, con i cuori che traboccano di paura e di vuoto.
I paesaggi attraversati a piedi, lentamente, trascinandosi un carrello da supermercato contenente tutto ciò che è possibile, non comunicano nulla di buono. Sono desolati, bruciati, morti. Ovunque fiamme e fumo, alberi inceneriti che improvvisamente cadono al suolo producendo orribili tonfi, boschi neri e freddi come la neve gelida sotto i piedi bagnati e notti senza stelle. L’aria è ovunque irrespirabile e a nulla valgono i ritagli puzzolenti di stoffa davanti alla bocca. Si varcano città morte, coperte di polvere e di cenere che penetra nei polmoni, in cui ogni umana traccia è sparita. E si incontrano cadaveri mummificati dal tempo lungo la strada che conduce al niente.
Le parole che vengono scambiate negli scarni e poveri dialoghi sono intrise di paura. I ricordi si fanno incubi. La lettura prosegue anch’essa nell’ansia e nel dolore ma prosegue, attaccata alla vita, come lo sono i due personaggi, nonostante la strada si faccia sempre più buia.
Di uomini se ne incontra ancora qualcuno. Ma sono predoni disposti a tutto pur di sopravvivere. E la pratica diffusa del cannibalismo in cui il più debole diviene cibo per il più forte è la regola imperante. In questo contesto i bambini non esistono: sono tutti morti di stenti o mangiati. Trovarne uno che cammina lungo la strada, sebbene protetto da un padre è, di per sé, un piccolo raggio di luce. Ma che importanza può avere se ogni altra circostanza è l’inferno? E che speranza potrà mai rappresentare la donna che, alla morte del padre, prende in consegna il bambino? Domande del genere sono inutili e fuorvianti. Occorrerebbe domandarsi, invece, quale strada stiamo percorrendo noi, con le nostre false certezze, le nostre ideologie, le nostre pance gonfie e i nostri sonnolenti cervelli. Dove stiamo andando così affannati? Quale sarà il futuro che stiamo già oggi costruendo?
Potrebbe essere, a farsi queste domande, che un brivido ci scuota da dentro e che ci si renda conto che il paesaggio descritto da McCarthy è già il nostro.