Leo Zen – L’invenzione del cristianesimo

Leo Zen – L’invenzione del cristianesimo
Editrice Clinamen, 2007

Scopo del libro è dimostrare la vecchia tesi secondo cui il cristianesimo non ha nulla a che fare con la figura storica del Cristo e che non è affatto una religione rivelata, ma semplicemente inventata, costruita nel corso di due/tre decenni dal geniale Paolo di Tarso e dai padri della chiesa nei secoli successivi.
Già nella prefazione l’autore dice con chiarezza:
“Furono necessari più di tre secoli, da Paolo a Costantino, per costruire una teologia di regime che dimostrasse che Gesù, ebreo, aveva fondato una religione la quale rinnegava tutti i principi dell’ebraismo; che, a dispetto del titolo messianico di re dei Giudei […] non c’entrasse per niente con il fondamentalismo javista; che il termine Cristo, anziché significare il Messia, l’unto di Javè per restaurare il regno di Israele, significasse il figlio di Dio, l’incarnazione divina immolatasi per la salvezza del mondo; che gli ebrei, in base ad un processo farsa contrario ad ogni principio giuridico (il processo davanti a Caifa), venissero proclamati gli unici responsabili della condanna di Gesù, avendo raggirato i romani babbei ma incolpevoli…”
Si è finalmente riusciti a ricostruire quanto finora è stato nascosto, distrutto o manipolato dalla chiesa romana, grazie a recenti scoperte che l’autore maneggia con la sicurezza dello studioso.
“Sono stati scoperti nel 1947 i Manoscritti del Mar Morto, sono venuti alla luce dalle sabbie del deserto alcuni Vangeli gnostici, è stata riproposta e rivalutata molta letteratura apocrifa; sono stati riesaminati, anche sotto il profilo linguistico, i testi canonici più antichi…”
Le fonti che l’autore esamina sono: i ventisette documenti canonici riconosciuti dalla Chiesa, tutti scritti in greco dagli amanuensi medioevali ovviamente controllati dalla stessa chiesa (i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti degli Apostoli, attribuiti a Luca; l’Apocalisse, attribuita a Giovanni; le tredici Lettere di Paolo di Tarso; la Lettera di Giacomo, il Minore; le due Lettere di Pietro; la Lettera di Giuda; le tre Lettere di Giovanni e la Lettera agli Ebrei di attribuzione incerta).
Vengono esaminati anche alcuni racconti evangelici, non riconosciuti, i cosiddetti libri apocrifi (pseudoepigrafati) come il Vangelo secondo gli Ebrei, redatto in ebraico e poi tradotto in greco, conosciuto come Vangelo dei Nazorei o degli Ebioniti o come Protovangelo di Matteo; il Vangelo degli Egiziani, il Vangelo di Pietro, il Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Filippo, il Vangelo di Maria (per citarne solo alcuni).
Vi sono poi altri documenti di scrittori ebraici e latini come Le antichità Giudaiche e La guerra giudaica di Giuseppe Flavio, ebreo, scritti in greco; gli Annali di Tacito, la Lettera di Plinio il Giovane e le Vite dei Cesari di Svetonio, scritti in latino.
Ancora vi sono molti ed interessanti, seppur brevi, riferimenti fatti dai Padri della Chiesa che nel confutare vecchie eresie, svelano qualcosa su documenti da loro esaminati e poi distrutti perché considerati eretici.
Infine vi sono i Manoscritti del Mar Morto, scoperti nel 1947, ma pubblicati integralmente solo nel 2001. Sono di fondamentale importanza perché svelano i rapporti esistiti fra Gesù, la setta degli Esseni e la comunità di Qumram. Insieme chiariscono lo sviluppo della prima chiesa cristiana, quella di Gerusalemme controllata dagli apostoli e, in prima persona, da Giacomo il fratello di Gesù.
Spero che la lunga elencazione appena fatta convinca il lettore della serietà scientifica con cui vengono argomentate le ipotesi dell’autore.
I documento più antichi sono le lettere di Paolo. La prima lettera ai Tessalonicesi risale al 50/51 d.C.. Il Vangelo più antico, fu scritto da Marco, un seguace/amico di Paolo; seguì qualche tempo dopo quello di Luca, altro stretto collaboratore di Paolo, autore probabile anche degli Atti degli Apostoli. Sono ambedue stati compilati attorno al 70 d.C. su precise indicazioni di Paolo. Dopo il 135 d.C. fu riscritto il Vangelo di Matteo sulla base, anch’esso, della nuova teologia paolina. L’unico Vangelo, per molti aspetti diverso dai precedenti è quello di Giovanni che fu scritto in epoca più tarda.
Secondo la Chiesa le prime notizie relative all’esistenza dei vangeli risalgono al 150/170 d.C. ma noi non possediamo i testi originali bensì delle copie risalenti al V/VI secolo.
A parte le manipolazioni evidenti di cui parla l’autore e che sembra molto logico supporre, visto il continuo raggiustamento subito dalla teologia cristiana nei suoi primi secoli, a me sembra centrale insistere sul Vangelo di Matteo.
Come detto fu riscritto attorno al 135 d.C. L’originale da cui fu tratto è il conosciuto come protovangelo di Matteo. In cosa fu modificato? E perché?
Premesso che l’originale scritto in ebraico da Matteo (con molte probabilità l’apostolo di Gesù), è stato distrutto (o, più semplicemente è andato perso) e che è possibile farsi un’idea di cosa potesse contenere solo analizzando i brevi passi in cui i Padri della Chiesa lo utilizzarono per confutarlo, sembra pur tuttavia potersi dire che esso era in netto contrasto con la teologia paolina che andava diffondendosi in tutto l’impero.
Innanzi tutto l’analisi linguistica dei nomi con cui è conosciuto ci dà qualche utile informazione. Vangelo degli Ebrei indica che era rivolto essenzialmente agli ebrei e non ai gentili. Gli altri nomi, Vangelo di Nazorei e Vangelo degli Ebioniti, indicano invece la stretta sua correlazione con la setta degli Esseni e con il messaggio fondamentalista javista teso alla liberazione di Israele dal giogo romano.
Nazorei non discende da Nazaret. La città dove ci dicono che Gesù si trasferì da giovane e nella quale visse a lungo, molto probabilmente, a quei tempi neppure esisteva.
Il termine Nazorei è collegato al vocabolo aramaico Nazirâ col quale venivano indicati coloro che facevano voto di castità, di astinenza e decidevano di non tagliarsi mai i capelli. Significa precisamente appartenente alla setta dei Nazorei.
Il termine Ebioniti ha un significato analogo indicando coloro che hanno fatto voto di povertà.
La nuova comunità di ebrei cristiani era diretta, dopo la morte di Cristo, dai Dodici e dai familiari di Gesù, “trai quali spiccava, per il suo grande attaccamento alla Legge e alle tradizioni ebraiche, il fratello di Gesù, Giacomo, detto anche il Giusto.”
Seguivano le regole ascetiche della comunità qumraniana. “Avevano scarsa considerazione dell’aspetto esteriore, per ogni forma di lusso e di comodità e non usavano mai forbici o rasoi. Avevano in comune l’aspirazione ad una rigida ascesi per cui non bevevano vino, non mangiavano carne e vivevano in comunione dei beni, nella gioiosa scelta della povertà. Praticavano il battesimo come rito iniziatico alla setta, esattamente come gli esseni. Credevano fermamente nella resurrezione di Gesù… Nessuno di loro riteneva, e tanto meno i familiari, che Gesù fosse il Lógos o il figlio di Dio… ignoravano pure la nascita verginale, l’istituzione dell’eucarestia e tutte le altre invenzioni mitologiche successive”
Il vero problema è che erano rimasti degli ebrei che pregavano iornalmente nel Tempio e che rispettavano la Legge.
Paolo agiva in un mondo molto diverso e faceva molti proseliti semplicemente perché seppe rendere universale il messaggio di Cristo che da ribelle re dei Giudei divenne salvatore dell’umanità tutta. Le sue discrepanze con i Dodici e i cristiani ebrei sono note. Ebbe con loro quattro incontri sporadici e nell’ultimo rischiò seriamente di essere ucciso per la sua diversificazione ideologica.
Paolo imparò presto a non riconoscere la loro autorità. Non e aveva bisogno: quanto sosteneva discendeva direttamente da Dio che si era fatto Luce in lui.
I contrasti fra Paolo e i suoi seguaci non ebrei e le comunità di cristiani ebrei si accrebbero e affinarono nel tempo. Questo processo è esaminato attentamente e con puntualissima esegesi dall’autore.
Il libro è perciò molto interessante sia dal punto di vista della ricostruzione storica, sia da quella attinente l’analisi dei testi.
Da un’angolatura teologica può apparire irriverente e rivoluzionario perché umanizza la figura di Cristo e addirittura trasforma la sua religione rivelata in una creatura costruita da altri uomini, a partire da Paolo di Tarso. Ma ciò ha valore solo per chi ancora si sente cristiano.
In realtà a partire da L’essenza del cristianesimo di Ludwing Feuerbach, in molti sanno non essere dio a creare a sua immagine l’uomo, ma l’uomo a creare a sua perfetta immagine il suo dio.
Ma al di là della storia e della teologia, a mio parere non dovrebbe essere importante l’origine del messaggio – da dio, da uomini – ma cosa dice il messaggio stesso. Se, cioè, il messaggio conserva una sua qualche utilità per questo nostro mondo straziato o se, invece, è da rigettare onde favorire la nascita di un nuovo pensiero più consono.
Un’ultima banale considerazione. Non mi piace affatto che l’autore si sia nascosto sotto lo pseudonimo di Leo Zen. Non lo giustifica né il suo discorso che non è affatto pericoloso come vorrebbe farsi credere, né il bigottismo – o il fanatismo oscurantista della cittadina veneta ove risiede, che, ammesso sia possibile, non fa comunque testo in un Italia laica e libera.