Jeremy Rifkin – Ecocidio

Jeremy Rifkin – Ecocidio
Ascesa e caduta della cultura della carne

Mondadori, 2001

Il libro fu pubblicato negli Stati Uniti nel lontano 1992. In Italia, la prima edizione, uscì per Mondadori nel 2001. Nonostante il tempo passato, questo saggio leggibile come un romanzo, rimane di fondamentale importanza per tutti coloro che, nonostante tutto, sognano ancora un futuro degno per l’intera umanità.
La descrizione accurata dei processi che hanno condotto l’uomo a scambiare per progresso e civiltà l’attuale distruzione perpetrata ai danni dell’ambiente, vorrebbe evitarci il suicidio collettivo, cosa che indubbiamente stiamo rischiando. Non a caso il libro è intitolato Ecocidio, un termine che secondo Polly Higgins, noto avvocato ambientalista impegnato per anni a far sì che l’ONU consideri tutti i disastri ecologici come reati contro la pace, significa:

“La distruzione, il danneggiamento e la perdita di ecosistema piuttosto estesa di un determinato territorio, provocata da agenti umani o da altre cause, al punto che il godimento pacifico del territorio da parte degli abitanti viene fortemente compromesso.”
(tratto da http://www.ecologiae.com/ecocidio/47469/)

Rifkin ci racconta la storia del rapporto dell’uomo con i bovini fin dalle antiche civiltà sumeriche con la convinzione che “molta parte della vita religiosa e laica della civiltà occidentale è poggiata sulle solide spalle di questi potenti ungulati.” In effetti “li abbiamo pregati, sacrificati agli dèi, usati per procurarci cibo, abiti, riparo, trazione e combustibile. Hanno arricchito la nostra vita spirituale e saziato i nostri appetiti. Noi li abbiamo elevati allo status di divinità, aggiogati all’aratro per dissodare la terra, munti per nutrire la nostra prole, e mangiati per conquistare la loro forza ed energia.”
Svelare questa storia ci fa capire come l’abitudine di mangiar carne o di non mangiarne non sia legata alle sole esigenze alimentari. E’ una questione ben più profonda che ci coinvolge razionalmente ed emotivamente e che non può essere sbrogliata affrontandola dal solo punto di vista logico-scientifico.
Ripercorre la storia del nostro rapporto con i bovini consente anche di rimarcare come le cose siano oggi radicalmente mutate.
A partire dalla seconda metà del secolo XIX, le grandi praterie americane furono liberate dai loro vecchi padroni. Sterminando i bisonti – l’inumanità di questa strage è ben documentata da Rifkin – l’uomo bianco conquistatore fiaccò ogni resistenza dei popoli indigeni più che in ogni guerra. (I morti in battaglia, nonostante la pubblicistica, furono da entrambe le parti, davvero molto pochi.)
Eliminando la materia prima non solo alimentare su cui reggeva una civiltà che aveva saputo sviluppare nel corso di qualche millennio una miracolosa forma di equilibrio uomo-natura, vennero liberati estensioni enormi di terra ricoperte da un’erba utilizzabile direttamente anche in inverno, senza tagli e immagazzinamenti di fieno, come invece si era e si è costretti a fare nella vecchia Europa.
Vennero soppiantate anche le antiche e indocili razze bovine a corna lunghe diffuse nel sud e in California da spagnoli e frati francescani.
“La vera storia di come è stato conquistato il West somiglia ben poco alla saga raccontata …. [è invece] una storia di ecocidi e genocidi, di appropriazione indebita di terre, di espropriazioni di un intero continente a esclusivo beneficio di pochi privilegiati.”
La conquista del West si rese possibile grazie ai massicci investimenti inglesi e alla loro smisurata fame di carne. Ma gli inglesi esportarono oltre ai capitali anche il loro gusto per una carne decisamente grassa.
Avevano già al loro attivo la desertificazione dell’Inghilterra e la trasformazione dell’Irlanda in un enorme pascolo al loro servizio con la conseguenza che gli irlandesi, nonostante la ricchezza delle loro terre, furono ridotti alla fame e, in molti, furono costretti all’emigrazione.
Anche la tecnologia diede il suo contributo all’instaurarsi del sistema contemporaneo della carne, con l’invenzione prima del filo spinato atto a recintare le enormi proprietà che si andavano costituendo, e poi con l’invenzione delle celle frigorifere che garantirono la conservazione della carne durante i lunghi tragitti fatti in treno o in nave.
Già alla fine dell’800 le praterie dell’Occidente degli Stati Uniti “registravano una popolazione bovina eccessiva ed erano sottoposte a una pressione di pascolo insostenibile.” Nello stesso tempo gli stati del Midwest producevano granoturco in eccesso. Si vennero a creare così le condizioni che avrebbero poi generalizzato la predilezione inglese per le carni grasse.
Nutrendo a cereali degli animali che sono erbivori non solo si produssero carni più grasse ma si rese possibile un aumento smisurato della produzione di carne.
Gli enormi macelli di Chicago furono i primi impianti industriali moderni. In essi si inventò quella catena di montaggio che Henry Ford avrebbe poi importato, qualche anno dopo, nelle sue fabbriche di auto. Ma le varie operazioni fatte nei macelli ad operaio fermo, non erano eseguite su degli oggetti meccanici trasportati da nastri davanti le loro mani, come nelle fabbriche di Ford. Erano eseguite sui cadaveri di animali trasformati in oggetti dalla cultura del profitto e del capitale. Servivano, nei loro velocissimi passaggi, a trasformare un corpo che era stato vivo fino a qualche attimo prima, in tanti pezzi irriconoscibili di carne, avvolti in confezioni da ammucchiare negli scaffali dei negozi.
Il processo, teso a nascondere la realtà, è riuscito così bene che oggi in pochi associano il fagotto che acquistiamo nel supermercato al mansueto animale che i nostri nonni vedevano pascolare.
L’industrializzazione del processo lavorativo consentì, inoltre, un abbassamento dei prezzi di produzione e, quindi, un aumento dei consumi e della produzione che, iniziando a rincorrersi l’un l’altro finirono con il generare l’assurda situazione attuale.
Oggi nel mondo la produzione intensiva di carne consente prodotti a basso costo perché è in vari modi sovvenzionata con soldi pubblici e perché è esentata dal pagare i costi dell’inquinamento che causa.
Emissione di gas serra, inquinamento di terreni e di corsi d’acqua con liquami e desertificazioni di superfici sempre più vaste per l’eccessivo numero di animali costretti a viverci, non sono gli unici doni che questa nefasta industria ci regala. Essa consuma quantità enormi di acqua nel momento storico in cui la sete è diventata il problema di Stati e di popoli e occupa circa un quarto della superficie terrestre per produrre cereali mangiati dagli animali quando la fame è il problema di milioni di uomini. (Negli Stati Uniti il 70 per cento della produzione cerealicola è destinata agli animali.)
Il bisogno di nuove terre distrugge, ogni anno e nel giro di mesi, zone vastissime delle ultime foreste pluviali esistenti. Di risorse, cioè, che sono un bene comune costituitosi in centinaia e centinaia di anni. Lo stesso bisogno immiserisce intere popolazioni a cui viene sottratta la loro terra e con ciò la loro unica fonte di vita.
E tutto ciò per soddisfare la richiesta di carne proveniente da una minoranza ricca di uomini che, a loro volta, si ammalano e muoiono per l’uso eccessivo di proteine animali.Rifkin conclude il suo libro con un appello:

“In un mondo di questo genere ci sono poche occasioni per onorare la creazione, essere in sintonia con le altre creature, gestire l’ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni. L’effetto sull’uomo e sull’ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane. … dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente per adeguarle ai ristretti obiettivi dell’utilitarismo e dell’efficienza economica. … Andare oltre la carne significa trasformare radicalmente il nostro modo di pensare … La natura non è più un nemico da sottomettere e domare, ma una comunità primordiale di cui facciamo parte. Le altre creature non sono oggetti o vittime, ma compagni partecipi di quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera. Eliminando la carne dalla dieta umana, la nostra specie può compiere un significativo passo in avanti verso una nuova consapevolezza …”